Frammenti di spettacoli, documentari, aneddoti, ricordi personali e assaggi di allestimenti dei suoi testi. «Ruccello per noi», la maratona di dodici ore, coordinata da Giulio Baffi, e svoltasi al Teatro Nuovo, è stata il modo migliore per ricordare, con il sorriso, quel ragazzone rubato alla vita troppo presto e quel suo esprit teatrale che, spesso, si nutre proprio di frammenti, di citazioni colte e incastri popolari, di linguaggio e situazioni rubate alla verità odiosamata del quotidiano e al sottobosco del romanzo ottocentesco, del mito, della fiaba, della celluloide. Così, quel teatro nel cuore dei Quartieri Spagnoli, che tante volte ha visto Annibale calcarne le scene, è diventato, sotto la sapiente regia di Baffi, il luogo della memoria per eccellenza, di un passato succoso di suggestioni che diventa progettualità per il presente e il futuro. Isa Danieli ha unito il ricordo alla consueta verve, regalando una spumeggiante interpretazione de “Il Mal di denti”, monologo tratto da Le piccole Tragedie minimali e frutto di una rielaborazione di un brano di “Notturno di donna con ospiti”. Una commozione stemperata dal sorriso quando ha ricordato gli inizi dell’avventura di “Ferdinando”, il capolavoro che nel 1986 ripagò Ruccello con quel successo che lui fece appena in tempo ad assaporare, e che fu portato in scena proprio grazie alla caparbietà con cui la Danieli, che ne divenne la protagonista Donna Clotilde, si impegnò alla ricerca di una produzione nazionale. Struggente la canzone inedita scritta, e interpretata per l’occasione, da Carlo de Nonno, cugino e musicista del drammaturgo stabiese. Tra le note delicate s’insinua un testo intessuto di ricordi personali e citazioni delle opere ruccelliane, a partire dal titolo “Poveri morti, poveri vivi”, che riprende una delle battute finali di “Ferdinando”. Il ritratto di un compagno di lavoro molto complice e buontempone è invece quello che ha tracciato Enzo Moscato che ha ricordato simpatici e esilaranti episodi ‘a latere’ dell’allestimento del suo “Scannasurice” di cui proprio Ruccello curò la regia. La sua era una risata scrosciante ed ebbra di vitalità. E sicuramente doveva aver riso tanto con le persone che erano state insieme a lui anche quel 12 settembre del 1986, quando un incidente automobilistico la spezzò per sempre. Incidente che portò via anche Stefano Tosi, attore e coetaneo di Annibale. A entrambi l’attrice Cristina Donadio, che di Stefano era la moglie, nel 2011 ha dedicato un meraviglioso testo “Venticinque rose dopo” di cui è stato proposto un frammento nel quale l’attore Luca Trezza ha fatto rivivere, prestandogli un corpo agile ed espressivo, un Annibale onirico. Con la maratona «Ruccello per noi» il pubblico ha potuto avere anche un assaggio del nuovo allestimento di “Ferdinando”, firmato da Nadia Baldi e con Gea Martire nel ruolo di donna Clotilde, che sarà in scena il prossimo anno. Non è mancato un omaggio alla madre di Ruccello, Giuseppina de Nonno, che, nella discrezione che ha sempre accompagnato il suo stile, ha in realtà avuto un ruolo centrale nella formazione intellettuale, prima, e nella cura del patrimonio artistico del figlio, dopo. È stata infatti proiettata in anteprima la videointervista “Giuseppina”, realizzata da Peppino Mazzotta. Testimonianza preziosa che si è unita a quella degli altri, tantissimi ospiti della giornata, tra cui Mauro Carbonoli, produttore del primo “Ferdinando”; Arturo Cirillo, attore e regista che ha fornito letture suggestive del teatro ruccelliano, da “L’Ereditiera” e “Le cinque rose di Jennifer” fino a “Ferdinando”; Fortunato Calvino, regista di una interessante “Anna Cappelli”; Margherita Di Rauso, interprete di “Week-End”; Massimo Andrei, che ha attraversato l’opera di Ruccello come attore e studioso. Alla fine la proiezione del film di Tomaso Sherman “Le cinque rose di Jennifer” interpretato da Francesco Silvestri. E Jennifer, il travestito emblema della solitudine e di una lancinante trasformazione culturale – che durante la giornata si era dato attraverso il corpo di Annibale nelle foto di Peppe del Rossi ai due lati del palcoscenico – ha parlato quel linguaggio cinematografico che tanto affascinava Ruccello e che, forse, sarebbe stata un’altra delle sue scommesse.