Ha rischiato di morire per caso. Diventato bersaglio solo perché chi ha sparato non ha trovato il killer da punire. I fratelli Carfora cercavano l'assassino del cugino ucciso a 17 anni, ma non hanno esitato a sparare ad un suo amico. Questa la motivazione che ha portato al raid contro Salvatore Pennino, ferito nell’agguato a colpi di pistola organizzato da Giovanni e Antonio Carfora per vendicare la morte del loro cugino di appena 17 anni.
A venti giorni dalla sentenza che ha condannato a 9 anni i fratelli Carfora, figli del boss, e a 7 anni e 10 mesi Giovanni Ammendola e Raffaele Iovine, emerge il motivo di quella sparatoria a meno di due ore dall’omicidio di Nicholas Di Martino e l'aggressione a Carlo Langellotti.
I feriti riuscirono a raggiungere l’ospedale, ma per il più giovane dei due non c’è stato nulla da fare. Al San Leonardo arrivò con difficoltà respiratorie, in stato di incoscienza e, come raccontato agli inquirenti dal medico di turno quella notte al pronto soccorso “con una ferita da arma da punta alla radice della gamba destra, larga due centimetri e profonda come un dito”. Una coltellata che gli ha reciso l’arteria femorale, facendolo morire dissanguato. Carlo Langellotti invece, pur avendo subito numerose coltellate, riuscì a scampare miracolosamente alla morte e fornendo precise indicazioni sugli autori dell’aggressione.
In preda alla disperazione, Giovanni e Antonio Carfora, i cugini della vittima, andarono a prendere le pistole, nascoste in un tubo sotto a un cespuglio in zona San Nicola dei Miri a Gragnano. Hanno cercato prima Apicella a casa sua a via Volte, poi Vincenzo Donnarumma, un amico di Apicella, spostandosi dinanzi all'abitazione di quest'ultimo. E’ proprio qui che il commando composto da 5 persone, delle quali una non ancora identificata, a bordo di due auto, hanno incrociato Salvatore Pennino, un amico di Donnarumma e di Apicella. L’hanno fermato e rotto il finestrino con il calcio della pistola. La vittima però è riuscita a fuggire, schivando anche l’altra auto, parcheggiata in attesa 200 metri più avanti.
Durante l’interrogatorio, i fratelli Carfora hanno precisato che i colpi sono stati sparati in direzione dei fari e del parafango, con l’intento di fermarlo. Una tesi che non ha convinto gli inquirenti che hanno parlato di “accettazione dell’eventualità di morte del Pennino”. Gli esami balistici eseguiti sul posto qualche giorno dopo hanno infatti evidenziato che i colpi sono stati sparati ad altezza uomo, colpendo la portiera, il volante dell’auto e il polso destro di Pennino. Un ragazzo diventato bersaglio per caso e scampato fortuitamente alla morte.
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