Un mistero che dura anni. Fino ad oggi si sapeva tutto. Chi lo aveva ucciso davanti agli occhi del figlio. Da chi era partito l’ordine. Ma mancava il tassello più importante: cosa aveva spinto il clan D’Alessandro a decidere di uccidere un consigliere comunale? «Gino Tommasino fu ucciso poche ore prima di un appuntamento che aveva con due imprenditori per l’affare parcheggi. Stava facendo troppi soldi e non voleva dare niente al clan». La svolta è arrivata grazie alle dichiarazioni di un pentito della cosca di Scanzano. A parlare è Renato Cavaliere, come scrive oggi Metropolis. Il suo è il nome di uno dei quattro del commando di fuoco che portò la morte sul Viale Europa, in un freddo pomeriggio di febbraio. Anzi Cavaliere è l’esecutore materiale del delitto che portò all’arresto dei vertici della cosca. Ad incastrarlo furono dei video, che ne inquadravano il profilo inconfondibile. In quasi dieci anni si è parlato di tutto, della privatizzazione delle Terme, dei rifiuti e invece si tratta dell’affare parcheggi. Ma a quali imprenditori chiedeva soldi Tommasino? E a nome di chi? A strappare il velo di un mistero durato a lungo, l’inizio del processo che si è aperto stamattina davanti alla Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Napoli per rivedere le pene di Renato Cavaliere e Catello Romano, un altro dei quattro che su due scooter affiancarono l’auto di Tommasino prima di freddarlo sul colpo. Scrive Metropolis questa mattina che la Corte di Cassazione a giugno scorso aveva annullato, con rinvio, gli ergastoli a loro carico. Il procuratore generale ha depositato agli atti del processo sessanta pagine del nuovo pentito del clan D’Alessandro e ha chiesto il confronto tra i collaboratori di giustizia”. Rialzandosi il sipario sulla vicenda processuale potrebbero riaccendersi anche i riflettori sul ruolo che Gino Tommasino avrebbe avuto sul terreno complesso, e spesso poco battuto, dei rapporti tra la politica, l’imprenditoria e la camorra a Castellammare.