Ci hanno messo del tempo, ma alla fine hanno confessato. Cinque degli undici ragazzi hanno raccontato come è andata. Hanno ammesso di avere utilizzato un video hard per ricattare la fidanzatina di uno del gruppo. Ascoltati dal pubblico ministero del Tribunale dei minori hanno parlato di tutto, anche delle violenze sessuali del branco. Insieme a due, a tre alla volta contro di lei, la cui unica colpa è stata quella di essersi fidata di M.D.M., del ragazzo che la quattordicenne amava dai tempi delle elementari. Di quel video hard arma del ricatto lei non sapeva nulla. Girato di nascosto, mentre era con il suo fidanzatino nella grotta del presepe a Pimonte è stato usato per mesi, così da costringerla a prestarsi a quegli stupri senza ribellarsi. Anche il cugino del suo ragazzo aveva provato a stare con lei, facendo scattare lo stesso meccanismo di terrore. A salvarla dall’ennesima violenza solo l’arrivo del padre, che ormai era in allarme per quei silenzi e lo strano comportamento della figlia terrorizzata dal continuo ricatto, durato due mesi fino all’arresto del branco. E ora per decisione del giudice delle udienze preliminari, Pietro Avallone, anche G.M. torna in comunità come gli altri suoi amici. Come spiega Metropolis all’inizio la sua posizione sembrava meno grave degli altri, perché G.M. quella violenza sessuale poi non era riuscito a consumarla. Ma per il giudice ha pesato il nome del nonno. Quella parentela con un boss dei Monti Lattari avrebbe potuto essere un’altra arma nei confronti della ragazzina per costringerla a ritrattare. Del resto il cugino, che da fidanzatino si è trasformato nel vero regista della sequenza dell’orrore, quei rapporti non ha esitato ad usarli quando un post su Fb di un cittadino di Pimonte gli era sembrato un intervento su cui invece l’omertà doveva essere assoluta. Nel piccolo paesino nessuno avrebbe dovuto parlare di quei video hard di cui si cominciava a spettegolare. Finchè a rompere quel muro di silenzio non ci ha pensato lei stessa. Stanca di essere diventata un giocattolo nelle mani del branco, a denunciare è stata lei. E ora, a qualche mese dall’arresto anche chi le ha fatto del male comincia a raccontare. I primi cinque hanno ammesso di avere approfittato di lei per quel video rubato che ha aperto un baratro in cui sono caduti prima la vittima e poi i suoi carnefici.