Il 17 aprile l’Italia sarà chiamata a votare un referendum, il cosiddetto No-Triv, per la prima volta chiesto dalle regioni e non tramite le firme raccolte dai cittadini.
Si vota per decidere se cancellare o no la norma che consente alle società petrolifere di avere concessioni di ricerca o estrazione, entro le dodici miglia marine, senza limiti di tempo.
Si parla di concessioni già in essere sul territorio italiano, perché per le nuove sono in ogni caso vietate; un referendum che complessivamente tocca ventuno concessioni adesso presenti nel nostro paese entro le dodici miglia; perché le altre 66 sono fuori delle nostre acque territoriali e quindi dalla nostra giurisdizione.
La faccenda che all’apparenza sembra essere semplice e di facile soluzione, in realtà è molto più complessa e vediamo di spiegare il perché.
Le ventuno concessioni in essere sono così distribuite sul territorio: sette in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 a testa in Basilicata ed Emilia Romagna, 1 a testa in Veneto e Marche. Alle aziende di estrazione le concessioni sono state date negli anni ’70 per una durata iniziale di 30 anni, prorogabili tre volte la prima per 10 anni, le altre due per cinque, per una durata complessiva 50 anni.
La cosa che fa storcere il naso è che, finite le proroghe, le aziende possono richiedere ancora l'estensione della concessione fino all’esaurimento del giacimento.
Nel caso di vittoria del SI però le strutture non chiuderebbero subito, ma man mano che arrivano alla scadenza quindi in un periodo compreso fra i 5 e i 20 anni.
Il problema a questo punto è solo politico, e riguarda sia la sicurezza contro eventuali disastri ambientali, sia quello di voler spingere il governo a investire nell’utilizzo di fonti energetiche alternative.
Questi i fatti, le domande che ci poniamo e cui avremmo piacere di ricevere risposte sono: si riuscirà a raggiungere il quorum? Quanto costerà agli italiani questo referendum?
Non poteva essere legato al voto per le amministrative del 5 giugno?
Come si vuole intervenire per le altre sessantasei concessioni poste fuori delle acque territoriali ma non per questo a rischio di danno ambientale?