Ai centri medici e alle società più grandi venivano chiesti fino a quattromila euro al mese ai negozi più piccoli cifre da 500 o mille euro. Uno stipendio di lusso per finanziare il clan Gionta. Soldi da passare alle mogli degli uomini di spicco del clan finiti in galera e per retribuire gli affiliati dell’organizzazione criminale. Sono quattordici le imprese che gli inquirenti hanno inserito tra le vittime accertate della cosca di Torre Annunziata. A decidere se toccasse ai Gionta intascare il pizzo o ad altri clan era una accurata mappa della città divisa a fette come una torta da spartirsi. Tra i dodici accusati dei reati di estorsione e detenzione di armi, fermati questa notte, anche due degli attuali capi della cosca torrese Luigi Della Grotta, detto “Gigino Panzerotto, di 49 anni e il sorvegliato speciale Vincenzo Amoruso di 47 anni. Ritrovato anche un pizzino che parla di loro “i boss che abbiamo ora”. Finiscono nei guai con i due capi: Catello Nappo di 24 anni, Oreste Palmieri di 37, Raffaele Passeggia di 57, Luigi Caglione cinquantaduenne, detto “Gino Canale 5”, Raffaele Abbelito 45 anni, Salvatore Ferraro di 52, detto “O Capitano”, il sorvegliato speciale Valerio Varone, l’unico di Pompei tra i fermati di 38 anni, Leonardo Amoruso di 43, Pietro Izzo già in carcere, detto “il boss dei 13 quartieri e un altro detenuto Ciro Nappo, quarantaquattrenne detto “Ciruzz capa r’auciello”. Gli investigatori hanno riscontrato almeno venti episodi estorsivi ai danni di 14 tra imprese, esercizi commerciali, società di ormeggi e centri medici, ai quali veniva imposto, in misura variabile in base alla capacità economica della vittima, fino a 4.000 euro mensili. Gli affiliati raccoglievano le estorsioni seguendo, hanno accertato i carabinieri, una autentica mappatura che consentiva di individuare i negozi che dovevano pagare i Gionta da quelli che invece appartenevano all'altro clan torrese, detto Gallo-Cavalieri. Il denaro provento delle estorsioni viene utilizzato per il sostentamento delle famiglie degli affiliati. E' stato registrato, a tal proposito, una particolare aggressività delle mogli dei detenuti della vecchia guardia, le quali pretendono un mantenimento "privilegiato".
Emblematico, secondo i carabinieri, è il caso della moglie di un ergastolano la quale rimprovera al clan uno scarso attivismo nella gestione del racket, con grave pregiudizio per lo stipendio di tutti gli affiliati.