In fondo l’operazione è facile facile.
Basterà trovare un milione e mezzo di dollari, una location dove far stare comode trecento persone, tra tecnici, fonici, staff, macchinisti e quant’altro, e un parcheggio adeguato dove parcheggiare 15 tir circa, e il sogno di portare sir Paul McCartney a Pompei può diventare realtà.
Non è uno scherzo. La notizia circola da qualche ora sul Web ed è diventata, ovviamente, virale.
Il baronetto della Regina che un po’ di anni fa, insieme ad un pugno di amichetti, fondò un gruppetto che si chiamava Beatles, potrebbe realmente arrivare negli Scavi l’estate prossima. E non tanto perché Mimmo D’Alessandro e Adolfo Galli, i due manager che stanno per portare Gilmour ed Elton John all’ombra del Vesuvio, sono i suoi stessi manager, ma perché Paul il pallino di Pompei antica ce l’ha sempre avuto.
Secondo Michelangelo Iossa, uno dei maggiori esperti dei Beatles in Italia, i quattro di Liverpool avrebbero dovuto suonare negli Scavi già nel 1969. L’anno dello storico concerto sul terrazzo della Apple.
Erano i tempi di Let it Be, ed era appena uscito l’album Yellow Submarine. L’idea di un concerto a sorpresa piaceva a tutti.
Tre le location possibili: Tunisi, una chiatta sul Tamigi e l’Anfiteatro Grande di Pompei.
Alla fine non se ne fece più niente. I Beatles suonarono a Londra, con migliaia di persone che bloccarono incantate Savile Row, per soli quarantadue minuti e poi la polizia li cacciò per disturbo alla quiete pubblica.
Qualche notte dopo Paul raccontò il suo progetto a David Gilmour, e i Pink Floyd decisero che a Pompei ci sarebbero venuti sul serio.
47 anni dopo, Paul potrebbe togliersi lo ‘sfizio’ e riprendere un suo vecchio sogno.
A Gennaio la notizia ufficiale. Tocca solo aspettare, e incrociare le dita