La pasta non conosce crisi e conquista sempre più appassionati. L'amore per la pasta, il rapporto quasi sentimentale che lega gli italiani ai piatti della tradizione, è retaggio antico. Non a caso, siamo leader mondiali di produzione (3,2 milioni di tonnellate) e consumo (24 kg a testa). Ma quali sono le abitudini di consumo al Sud, dove produzione e consumo di pasta sono documentati già dal primo Medioevo? Secondo elaborazioni di AIDEPI (Associazione delle industrie del Dolce e della Pasta Italiane) su dati IRI, nel 2016 nel Mezzogiorno sono state vendute oltre 378mila tonnellate di pasta, il 36% del totale. Il doppio rispetto al Nord Est e un terzo in più rispetto a Nord Ovest e Centro. Di conseguenza il consumo di pasta è leggermente superiore alla media nazionale, con circa 25-26 chili pro-capite all'anno. Una ricerca Doxa-Aidepi approfondisce questa fotografia analizzando la qualità percepita della pasta secondo gli italiani residenti al Sud, Nel Mezzogiorno tutti o quasi mangiano pasta (oltre il 99%), in media 4-5 volte a settimana.
Due curiosità mostrano uno scenario in evoluzione: i veri fan della pasta stanno spostando il baricentro geografico verso il Centro Italia - dove il 45% mangia la pasta tutti i giorni, contro il 32% del Meridione. E la porzione media di un piatto di pasta nel Sud è di circa 80 grammi a persona, registrando la percentuale più bassa del Belpaese.
Il tutto emerge da press tour effettuato da Giuseppe Di Martino, pastaio e Mario Piccialuti, presidenti Aidepi.
Per il 48% dei meridionali la pasta è l'alimento preferito.
La scelgono per ragioni di gusto o salute. La tipologia più acquistata è la pasta secca. Quasi 4 pacchi di pasta secca su 10 totali sono stati venduti a sud di Roma, mentre il Nord Ovest è leader per la pasta fresca. Nel solco di questa tradizione, la novità è il crescente gradimento per la pasta integrale: quasi la metà del campione (47%) dichiara di acquistarla, mentre 3 anni fa erano solo il 14%. La ricerca viene resa nota in occasione di una campagna di Comunicazione lanciata da AIDEPI per festeggiare i 50 anni della cosiddetta "legge di purezza sulla pasta", (L. 580 del 1967) l'unica normativa del genere voluta dai produttori che, fissandone i limiti qualitativi, garantisce alla pasta italiana di essere sempre la migliore al mondo. "Vogliamo rimettere al centro della pasta la mano del pastaio, ingrediente invisibile e spesso dimenticato del nostro piatto simbolo - spiega Mario Piccialuti, direttore di AIDEPI. Alcuni vogliono far credere che per fare una pasta buona servano solo materie prime eccellenti, ma c'è molto altro. È importante che gli italiani riscoprano la passione, la storia, la ricerca, i test sensoriali e di laboratorio, insomma tutto l'impegno dei produttori dietro una ottima forchettata di pasta."
Secondo Mario Piccialuti, "I risultati di questa ricerca confermano che anche per i consumatori del sud d'Italia la vera pasta italiana è quella fatta dai pastai italiani con le migliori semole ottenute da grani duri di elevata qualità, italiani ed esteri. E' così da sempre. Questo nostro piatto è frutto di una sapienza che si tramanda da millenni e sarebbe ingiusto, riduttivo e antistorico ricondurre la qualità di questo prodotto esclusivamente all'origine della materia prima, che da sola non basta a garantirne la qualità. Il successo dipende soprattutto dal saper fare dei pastai italiani, che selezionano i grani migliori, per poi miscelarli nel modo giusto e produrre una pasta unica al mondo per sapore, profumo e tenuta in cottura".
Ogni italiano ha il suo preferito tra gli oltre 300 formati di pasta censiti da AIDEPI, ma poi (geograficamente) l'Italia si divide da sempre in due, con Roma a fare da spartiacque tra due mondi e due filosofie, quasi inconciliabili. Dalla Capitale (esclusa) in giù la pastasciutta piace liscia, che con il 13% delle preferenze tocca le punte più alte di gradimento a livello nazionale. "Da noi nel Sud d'Italia la pasta è quella liscia per antonomasia - commenta Giuseppe Di Martino, pastaio di AIDEPI e presidente del Consorzio Pasta di Gragnano IGP - e c'è una ragione ben precisa. Storicamente a Napoli, la pasta rigata veniva prodotta solo per i mercati del Nord. Era venduta dai Gragnanesi sul mercato di Roma e chiamata per questo "uso Roma", da cui i famosi Rigatoni romani, ottimi con la pajata. Vengono invece indicate "uso Bologna" le farfalle, un formato che riproduce la tradizione emiliana della pasta sfoglia e che richiede, sia in produzione che in cottura, un buon equilibrio tra le ali e il nodo".
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