Molto più di un film che vuole documentare la nascita di uno spettacolo teatrale. “Faccia Gialla”, la pellicola firmata dal giovane regista Paolo Boriani, è un fuoco narrativo in cui si intrecciano i vissuti di due personaggi emblematici come Roberto Saviano e Mimmo Borrelli, che si coagulano intorno allo spettacolo allestito insieme a Milano nel 2016,”Sanghenapule”. Uno spettacolo che è al contempo epopea della vita di San Gennaro e metafora della stessa città di Napoli, contraddittoria, selvaggia, sanguigna e speranzosa come la incarnano lo scrittore e l’uomo di teatro, fianco a fianco sulla scena della pièce. E la scommessa del film è proprio quella di ricostruire dall’interno la verità di una città e di questi due intellettuali al suo servizio e che nel suo esprit vedono fondersi i rispettivi mondi artistici di appartenenza.
Una sala gremita per la presentazione in anteprima nazionale a Napoli, nella splendida cornice del cinema Hart, e lo scroscio di applausi alla fine della proiezione fanno pensare a un film - realizzato in collaborazione con Rai Cinema e con K-Rock Film Studio – capace davvero di affabulare gli spettatori e colpirne l’immaginario.
Soddisfatto ed emozionato il regista che nell’incontro con il pubblico non si sottrae alle domande e alle stimolanti considerazioni del critico cinematografico Valerio Caprara.
« “Faccia gialla” è un film difficile» - risponde Boriani quando gli viene chiesto in quale categoria possa rientrare la sua pellicola - «perché non vuole riprendere o documentare un fatto, un pezzo della realtà ma cerca piuttosto di raccontare l’essenza dei suoi protagonisti, colta a volte dopo ore di estenuante lavoro quando emerge quel guizzo, quel particolare modo di dire o di fare che ti fa davvero riconoscere la personalità di Roberto e di Mimmo».
Ed è un film difficile soprattutto perché cerca di restituire il sangue di questa città attraverso San Gennaro e l’incontro possibile-impossibile tra la ‘voce’ di Napoli, Roberto Saviano, e il ‘corpo’ di Napoli, Mimmo Borrelli. Con la tecnica del fuori-campo, che coincide con altrettante infrazioni della linearità e la moltiplicazione dei piani temporali, l’esilio di Saviano, il palpito di una vita eccentrica rispetto a un cuore che pulsa per Napoli nella nitida atmosfera di New York, collide con la memoria, il suono, il mare, i vecchi, la lingua dei Campi Flegrei dove l’arte di Borrelli attinge le sue linfe. E il fuori-campo ricostruisce la genesi dello spettacolo “Sanghenapule” e contemporaneamente interroga l’essenza di una napoletanità che sfuggendo al gioco facile dell’autorappresentazione, pulsa nel corpo e nel dialetto materico di un uomo di teatro che diventa esso stesso la crosta e il cuore della città.
Se nello spettacolo, ricostruito dal film, Saviano “racconta” la Napoli di San Gennaro che si aggrappa al suo nume tutelare attraverso il sangue che è anche il sangue dei suoi figli andati via, Borrelli la “esprime” con le pulsazioni del suo corpo-cassa di risonanza. Ma all’anteprima le parole di Borrelli sono tutte dedicate all’amico scrittore-testimone, sia nel racconto degli aneddoti di backstage sia nella considerazione, nitidamente realistica, di ciò che la parabola di vita dell’autore di “Gomorra” rappresenta oggi per Napoli. «Roberto è costretto a stare lontano, eppure è uno che mai se ne sarebbe andato perché avrebbe voluto produrre un cambiamento dall’interno. L’errore più grande, non suo ma inevitabile, è proprio la lontananza da Napoli. È per questo che lui cerca continuamente di riprenderla, di afferrarla, a volte anche sbagliando. Ma lui non può che stare nell’errore, proprio per aggrapparsi a questa città. Non può che fare errori e contemporaneamente cercare di creare miracoli perché Roberto cerca sempre anche la meraviglia e la gioia di una città che può cambiare».