Una telefonata di Massimo Terminiello dal carcere per dare le indicazioni alla compagna su come fare arrivare la cocaina e la marijuana da Gragnano in penisola sorrentina. Con Vincenzo di Martino reggente del clan dei Monti Lattari pronto ad esaudire le richieste con quantitativi di droga sempre più ingenti.
Un traffico di stupefacenti verso le località turistiche che, durante il lockdown imposto dal Covid, aveva continuato a fare lievitare i profitti dei clan dei Monti Lattari. È quanto ricostruito in una inchiesta della Dda, sostituto procuratore Giuseppe Cimmarotta, che ha portato nei giorni scorsi a fare scattare nove misure cautelari nei confronti dei capi delle cosche dei Lattari Di Martino e Carfora. E scoprendo l'esistenza di un'organizzazione criminale che fa della vendita di droga in piazze e locali della movida sorrentina uno dei maggiori affari per i clan di Castellammare di Stabia e Gragnano. Tre le persone finite in cella e altre tre ai domiciliari nella giornata di ieri, con i provvedimenti eseguiti dagli uomini della Guardia di Finanza.
Coinvolte tre donne la compagna di Terminiello Colomba Braglia, la cugina Enza Braglia e l'amica Gabriella Ortu. Erano loro a svolgere il ruolo di corrieri e intermediarie anche con chi era in carcere. Questo è stato ricostruito rispetto a sei mesi, dal maggio al novembre 2021, durante i quali gli investigatori hanno fotografato le attività criminali del gruppo. È sfuggito all'arresto, martedì scorso, Vincenzo di Martino. Figlio del boss a capo della cosca, è considerato l'uomo chiave del traffico di droga, e si è reso irreperibile.
Raggiunto da un nuovo provvedimento giudiziario, invece, Massimo Terminiello mentre già si trova in carcere. È lui il detenuto, in cella con l'accusa di essere il riferimento del clan stabiese dei d'Alessandro in penisola sorrentina, che telefonando dal penitenziario alla compagna sarebbe stato il regista delle operazioni di consegna. Ma tra i dodici indagati di associazione mafiosa ai fini del traffico di stupefacenti c'è anche un altro nome eccellente. Si tratta di Antonio Carfora, figlio del boss Nicola condannato all'ergastolo, nonostante sia già in carcere è stato raggiunto da un divieto di dimora. Avrebbe provato a piazzare attraverso la compagna le sue forniture di droga ai riferimenti dell'organizzazione nei comuni tra Sorrento e Massa Lubrense. Un patto che avviene in carcere direttamente con Terminiello, è di nuovo lui a creare il contatto tra la sua compagna e quella di Carfora. Le richieste di droga arrivavano tramite messaggi WhatsApp in cui spesso venivano utilizzati messaggi in codice per cui la cocaina diventava "una toradol", farmaci e ospedale erano le parole chiave. Le città da cui sono partite le indagini cominciate dai finanzieri delle località turistiche e che poi sono risalite fino ai vertici dei clan.