Fare l’avvocato divorzista ai tempi del coronavirus non è semplice. Puoi andare a studio ma non ricevere clienti che ti raggiungono solo telefonicamente per avere un consulto o meglio un conforto.
Sì perché molte persone più che di risposte giuridiche ricercano conforto umano.
Il mio cellulare squilla a qualsiasi ora e in qualunque giorno, quasi fossi un penalista.
All’altro capo vi è spesso una persona in crisi con il partner generata dalla forzata permanente convivenza tra le quattro mura domestiche.
Effetti della quarantena. Ma come? Stare con la persona amata e con la propria famiglia tutto il giorno non dovrebbe essere il sogno di ognuno di noi? Non interrompere la convivenza, se non per portare giù la spazzatura, non è la massima aspirazione di quanti hanno deciso di sposarsi, il pieno compimento dei voti nuziali e l’adempimento completo di quanto prescritto dai “famosi” articoli 143, 144 e 147 del codice civile letti ed ascoltati al momento del Grande evento del matrimonio sia in sede civile sia in sede religiosa?
Stando a quanto si osserva quotidianamente sembrerebbe proprio di no.
Dal mio piccolo osservatorio sicuramente no.
Prima della quarantena le richieste di “aiuto” erano sostanzialmente di persone già separate o divorziate e inerivano lamentele circa il mancato pagamento del contributo alimentare, il rispetto degli orari di visita ai figli ed altre “amenità” similari.
Con la quarantena, invece, le chiamate provengono maggiormente da persone ancora sposate e conviventi. Molte oltre a chiedere il modo più celere di separarsi lamentano, e pongono a base di tale richiesta, la intolleranza verso il partner.
Si assiste, pertanto, ad uno strano fenomeno. Coppie che vivevano (e vivono tutt’ora) insieme deflagrano all’improvviso.
Tale crisi che ha la radice, come detto, nella forzata convivenza ha svariate ragioni.
La prima può essere individuata nella circostanza che la forzata convivenza ha smascherato una ipocrita facciata di serenità familiare, dove l’affetto tra i coniugi è già venuto meno da tempo, lasciando il posto all’abitudine, tomba dell’amore come insegnano i sociologi. La coppia assolutamente consapevole della propria latente crisi, non si spingeva alla separazione poiché i ritmi quotidiani, dettati dal lavoro e dai tempi di convivenza sotto lo stesso tetto, magari uniti ad una tolleranza, più o meno palese, nei confronti di reciproche relazioni extraconiugali, determinava un equilibrio che manteneva lo status quo familiare senza determinarne la deflagrazione.
Altra ragione può circoscriversi ad una inconsapevole intolleranza verso il partner. La coppia giammai ha avuto consapevolezza della propria crisi che è stata celata, anche in questo caso, dai tempi limitati di convivenza in casa. La maggiore convivenza, invece, ha rotto tale situazione. La possibilità della coppia di stare insieme ha svelato maggiormente l’uno all’altro, acuendone i difetti e rendendoli maggiormente intollerabili al partner. Difetti che molte volte tali non sono ma atteggiamenti dell’uno mal gradite all’altro.
Si va dalla lamentata assenza di collaborazione alle attività domestiche, fino alla disputa per chi assiste il bambino nei propri compiti on line. Atteggiamenti che, senza fare facile sociologia familiare, nascondono, anche in soggetti che non in quarantena appaiono collaborativi ed evoluti, soprattutto in presenza di mogli impegnate al lavoro, una concezione divisiva della famiglia, attagliando compiti specifici all’uno e all’altro genere. In genere gli uomini vorrebbero solo cucinare e solo quando va a loro genio, evitando poi di pulire, mentre le donne pretendono che il partner sia esperto falegname, idraulico, elettricista, ecc.
Viene altresì acuita, in quarantena, la differenza tra i partner relativa ai singoli gusti, alle proprie passioni. La scelta del film da vedere in tv o della stazione radio da sintonizzare può determinare una discussione infinita e portare la coppia a rinfacciarsi finanche il proprio background culturale.
In definitiva, in periodo di quarantena, più che dare consulti giuridici un avvocato esperto familiarista, che già normalmente tende ed ha il dovere di ricercare la riappacificazione familiare, deve svolgere più un ruolo psicologico che giuridico.
Nino Longobardi (avvocato matrimonialista)
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