Un intervento churugico come favore al boss. Un'operazione alla cognata di Paolo Carolei per compiacere la camorra. Niente liste d'attesa e procedure amministrative per la paziente che arriva direttamente in sala operatoria al San Leonardo grazie ad una telefonata di raccomandazione di Adolfo Greco. C'è anche un chirurgo tra i 39 indagati nell'inchiesta su clan e fiancheggiatori, che il cinque dicembre ha portato all'arresto di capi di quattro cosche e del noto imprenditore Adolfo Greco. Per la Dda il medico avrebbe utilizzato l'ospedale San Leonardo per interessi privati, venendo meno al rispetto delle normative e ai propri doveri deontologici. Una porta aperta da Greco che mette in contatto il chirurgo con Michele Carolei, fratello del boss che all'epoca dei fatti, nel 2014, era già stato arrestato. Perciò il chirurgo nel ricevere in ospedale il fratello gli avrebbe detto "ora che Paolo... i compagni siamo noi, tu puoi venire anche di notte". Una porta che si apre più volte. Prima la visita alla paziente, di cui non c'è traccia tra le accetazioni del San Leonardo e poi l'intervento effettuato dirà il medico, indagato, con una tecnica innovativa. Contatti che continuano a lungo anche dopo l'operazione perfettamente riuscita, tanto che lo stesso Michele Carolei, finito in carcere con Greco più di un mese fa, potrà tornare in ospedale per fare degli esami clinici senza pagare ticket e seguire le trafile che spettano a tutti. Esami che, quindi, sarebbero finiti a carico del servizio sanitario nazionale per favorire la famiglia del boss con forti legami anche nel mondo dell'economia stabiese. Favori che poi, secondo quanto ricostruito dalla Dda napoletana e dal pm Cimmarota, sarebbero stati ricompensati quando più volte Michele Carolei fa riferimento ad una "ambasciata" da consegnare al chirurgo. Una caso che potrebbe non essere stato isolato in quanto è lo stesso Greco che spiega all'amico Carolei, considerato come referente privilegiato nella relazione con le cosche, che il chirurgo avrebbe operato anche familiari degli Afeltra, clan dei monti Lattari. Chiusa questa parte dell'inchiesta ora toccherà al chirurgo doversi difendere dall'accusa di avere utilizzato una struttura sanitaria pubblica per favorire uomini dei clan. A Greco e ai suoi difensori dimostrare invece di non avere indossato la maschera di "Giano bifronte" attribuitagli dagli inquirenti, come anello di congiunzione tra la camorra e i professionisti stabiesi.
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