LUNEDÌ 16 SETTEMBRE 2024




La storia

Castellammare, l'odissea di Tommasino tra tre ospedale. La figlia: 'Mio padre è un eroe'

Il medico di famiglia ha atteso 10 giorni prima di sapere che aveva il coronavirus

di Mariella Parmendola
Castellammare, l'odissea di Tommasino tra tre ospedale. La figlia: 'Mio padre è un eroe'

"Devo essere trasferito in un ospedale Covid, ma non c'è posto. E io respiro male". È uno degli ultimi messaggi che Giovanni Tommasino invia alla moglie e alle figlie. Poi dopo avere atteso un'intera giornata un'ambulanza che non arriva, viene trasferito da Sorrento a Scafati. La terza tappa del medico stabiese che per potere difendersi dal contagio aveva solo una mascherina. A Scafati è intubato, a distanza di poche ore dal suo arrivo, e la sua famiglia non avrà più la possibilità di parlare al medico di famiglia morto per il suo lavoro. La figlia Maria racconta l'odissea del padre, come l'ha vissuta da figlia, dall'isolamento che si è trasformato in impotenza per i lunghi giorni di attesa del tampone e i trasferimenti da un ospedale all'altro mentre il padre peggiorava imboccando un tunnel senza ritorno. È devastata dal dolore la biologa stabiese, che non può restare neppure accanto alla madre e alla sorella, ancora divise dal coronavirus che gli ha tolto il padre. Ma le date le ha stampate in mente e le ripercorre, una dopo l'altra, mentre racconta gli ultimi giorni del medico di Castellammare al Mattino. Giovanni Tommasino si sente male il 14 marzo. Fino al giorno prima ha lavorato, visitando i suoi pazienti. Sale la febbre e il medico ha subito il dubbio di avere contratto il coronavirus. La prima attesa è per ricevere il tampone. Nonostante la sanità sia il suo mondo, il test gli viene fatto solo il 17 marzo. L'esito, però, non arriva e respirare gli è sempre più difficile. Si fa portare a casa le bombole di ossigeno e comincia a curarsi seguendo le indicazioni dei colleghi. Non perde il suo sorriso, rassicura la famiglia, ma le sue condizioni diventano critiche. La notizia ufficiale di essere stato contagiato non c'è ancora quando, su insistenza del suo medico e della moglie, si fa portare in ospedale. Poche ore ed è di nuovo a casa. Al San Leonardo non ci sono postazioni con l'ossigeno e prima di riportarlo indietro, lo portano in un centro ambulatoriale per delle analisi. È il 21 marzo quando in un giorno l'ambulanza del 118 va e viene tre volte da casa sua. L'ultima destinazione è l'ospedale di Sorrento in attesa che esca un posto in Rianimazione. Sarà lui stesso il 22 marzo a scrivere un post ad amici e pazienti, in cui con tono sereno spiega di essere stato contagiato e di aspettare il trasferimento in Rianimazione. Dopo cinque giorni ha avuto l'esito del test e può essere trasferito in una struttura Covid. A Scafati entra nel reparto di terapia intensiva il 24 marzo e non può più chiedere alla moglie e alle figlie di inviargli foto infondendo speranza. Le comunicazioni si interrompono. Dieci giorni dall'inizio della malattia al ricovero in una struttura sanitaria che potesse veramente aiutarlo. Il quattro aprile una telefonata dall'ospedale di Scafati. Il cellulare di Maria squilla per comunicarle che il padre è morto. "È un eroe non si è mai tirato indietro, questo vogliamo si ricordi di lui" è quello che Maria si augura. È quello che gli stabiesi e i medici dalla Lombardia al Sud non potranno dimenticare.
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11-04-2020 11:27:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA