"A Castellammare come persone facciamo pena. È colpa nostra se i ragazzi devono lasciare questa città". Nella mente di Don Mario c'è Manuela e tutti gli altri ragazzi, che sono andati via da Castellammare per costruire il loro futuro. È amaro e realistico il ragionamento che il sacerdote fa dall'altare. Lo ascolta una folla attonita e, forse, anche stordita dal dolore di dovere partecipare al funerale di una donna di 34 anni. Una manager, che si è affermata a Londra, ed è morta in un incidente stradale lontano da casa. In una vacanza in Sud Africa, dopo un'estate passata a lavorare in un albergo dove le sue colleghe non avevano smesso di aspettarla. Ma don Mario lo deve a lei, che ha visto crescere in una parrocchia al centro di Castellammare, e alla sua età di sacerdote ottantenne non incline a fare sconti a nessuno. Perché quello che Manuela Ghezzi vorrebbe oggi "è una rivoluzione". E poi lo deve alla madre Ida, che affronta tutto il dolore, arrivatole addosso, con forza e dignità. Lei che spiega don Mario di Maio "nella politica ha cercato di vivere con impegno questi valori". È nel ricordo della giovane professionista che non c'è più, e di chi dovrà ancora partire, che i toni del sacerdote stabiese si fanno duri: "A Castellammare come persone facciamo pena. Quanti giovani come Manuela sono costretti ad andare fuori per affermarsi. Noi viviamo in una cultura mafiosa e ci siamo rassegnati". Un discorso che valica le mura della chiesa del Carmine e si estende ad un ragionamento molto più ampio: "La malavita non è solo nella camorra, ma anche nella cattiva amministrazione. Conosco commercianti che, avendo abbandonato certe amicizie, ora si trovano in difficoltà ad andare avanti. Questo ci mortifica". Il suo è un tentativo di scuotere le coscienze nel momento in cui la morte di una giovane donna apre alla riflessione di come viviamo il nostro presente: "I cittadini onesti sono rassegnati, siamo tutti adattati a questo destino. Manuela ci dice che non bisogna rassegnarsi. Giovani come Manuela non devono andare fuori con le risorse che ci sono a Castellammare. Ci vuole una rivoluzione prima di tutto culturale". Un affondo severo rivolto a tutti gli stabiesi, con il pessimismo di chi ha attraversato un lungo pezzo di storia della città senza che cambiasse niente.
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