Prima cinquecento euro al mese poi ogni volta di più fino ad arrivare a duemila. Un pizzo da versare al clan Cesarano, il cui regista sarebbe stato Luigi di Martino. Un'estorsione ai danni di un imprenditore di Gragnano durata dieci anni, che è costata una condanna a 7 anni al boss della cosca di Ponte Persica. La sentenza in Appello riduce di due anni il verdetto di primo grado, ma resta pesante.
Secondo le inchieste che lo vedono protagonista Luigi di Martino, uscito dal carcere una prima volta negli anni scorsi, sarebbe stato il capo di una serie di estorsioni per finanziare la cosca, con vittime da Castellammare a Gragnano fino a Pompei. E proprio nella città del Santuario era collocata la cassa. Un bar, poi sequestrato, come copertura per gestire i flussi di soldi arrivati dal pizzo. A finire nella rete del clan un imprenditore titolare di una sala di videogiochi a Gragnano, costretto a vivere un decennio di inferno. A lui il clan aveva cominciato a chiedere prima 500 euro, poi sempre di più, arrivando a duemila man mano che la sua attività commerciale cresceva. Gli emissari di Gigino o Profeta, tra cui anche il figlio Gerardo, sono stati processati con rito abbreviato come anticipa oggi il quotidiano Metropolis. Ora per il boss arriva la condanna in Appello, la seconda per estorsioni, mentre si trova nel carcere di massima sicurezza di Milano. Un altro colpo al capo della cosca, contro il quale i suoi avvocati hanno annunciato di volere ricorrere in Cassazione.
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