LUNEDÌ 16 SETTEMBRE 2024




L'inchiesta

Castellammare, il re dei funerali imposto dai dipendenti del comune: "Io sono amico degli amici"

La denuncia di un concorrente: "Non riuscivo ad avere i documenti"

di Mariella Parmendola
Castellammare, il re dei funerali imposto dai dipendenti del comune:

I funerali a Castellammare erano esclusiva dei Cesarano. Il re delle pompe funebri non faceva eccezioni. Nessuno poteva rivolgersi ad altri e anche al Comune c'era chi bloccava le imprese che provavano a invadere il territorio dell'imprenditore finito in cella a Secondigliano giovedì mattina. "Io sono amico degli amici, qui funziona così. Se è morto a Castellammare la bara la devi comprare da noi e dei documenti ci possiamo occupare solo noi" dice Alfonso Cesarano, non sapendo che il suo interlocutore stava registrando la conversazione. È il responsabile di una ditta di pompe funebri di San Giorgio a Cremano che denuncia ai carabinieri l'imprenditore stabiese, accusandolo di avergli imposto un dazio economico per poter trasferire un morto dall'ospedale San Leonardo alla sua città di origine, dove i familiari lo aspettavano per il funerale. I primi ad imporre la legge di Cesarano a chi voleva bypassarli erano i dipendenti del comune, dal custode del cimitero ai funzionari addetti a rilasciare certificati e autorizzazioni. Impossibile ottenere i permessi, che avrebbe dovuto erogare il comune, senza una telefonata a don Alfonso. Al punto che è l'avvocato del comune a dovere intervenire per convincere il funzionario a rilasciare gli atti necessari, "mentre con fare intimidatorio entrano personaggi estranei negli uffici per controllare l'esito della vicenda e minacciarmi silenziosamente" racconta l'uomo ai magistrati della Dda. Un monopolio che secondo la Direzione distrettuale Antimafia Alfonso Cesarano deteneva grazie al clan D'Alessandro. Tanto che quando viene colpito da inchieste e interdittive crea un sistema di società gestite da parenti e prestanome per poter continuare a svolgere l'attività delle pompe funebri in nome della cosca di Scanzano. Gli uomini del clan potevano in cambio contare su di lui per ripulire assegni post datati, nascondersi nel suo albergo e ottenere stipendi senza lavorare. Tramite appostamenti e controlli sul versante societario gli inquirenti sostengono di poter provare che Alfonso Cesarano non avrebbe mai smesso di gestire il suo impero, tentando di preservarlo dai sequestri con falsi passaggi di testimone ai familiari. Per questo sono finiti ai domiciliari anche Giulio, Saturno, Catello e Alfonso Cesarano come il prestanome Michele Cioffi. Un'inchiesta che ha portato al sequestro preventivo di 7 milioni e 500 mila euro. Una piccola parte del patrimonio se si guarda ai numeri in possesso dei magistrati con una media di più di seicento funerali all'anno gestiti nella quasi totalità dalla famiglia Cesarano. Un monopolio travolto dall'inchiesta della magistratura.
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26-10-2019 10:22:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA