Boss e gregari dei clan D’Alessandro e Cesarano a processo. Gli uomini di due cosche accomunati dall'accusa di aver messo in ginocchio molte imprese di Castellammare imponendo il pizzo. Una città divisa in due con la periferia a Nord nelle mani dei colonnelli di Ponte Persica e il resto sotto il controllo di Scanzano. Ricostruite estorsioni che negli anni hanno garantito ai clan introiti fino a 200mila euro. Soldi ottenuti con minacce e ritorsioni nei confronti degli imprenditori che tentavano di sfuggire al pagamento della tassa imposta dalla criminalità organizzata. Un decennio di terrore confluito in un procedimento che è uno stralcio della maxi-inchiesta Olimpo e cominciato subito con un rinvio.
Tra gli imputati i vertici del clan D’Alessandro. A cominciare da Teresa Martone, la vedova del boss Michele a cui si deve il predominio della cosca di Scanzano sulla città. Sola al comando mentre i figli erano in carcere è ritenuta una degli elementi chiave di questa inchiesta. L’Antimafia le contesta di aver imposto il pizzo a un’azienda stabiese. Alla sbarra con lei ci saranno anche i figli Pasquale e Vincenzo D’Alessandro, entrambi attualmente liberi dopo aver scontato pesanti condanne nonostante sia ancora considerati ai vertici del clan.
A processo con i tre della famiglia anche Aldo Vispini e Luca Salvatore Carrano, ritenuti invece gli esattori del clan Cesarano inviati a riscuotere le cifre imposte. Dalle prossime udienze il processo dovrebbe andare avanti a ritmo serrato come chiesto dalla Dda proprio in quanto molti degli imputati per vicende che risalgono nell'arco di tempo tra il 2006 e il 2017 sono ancora in libertà.