Un bus che tornava da un pellegrinaggio a Padre Pio cade in una scarpata, quaranta i morti in una degli incidenti stradali più gravi della storia italiana. Dopo cinque anni dalla strage arriva la sentenza. Otto condanne e sette assoluzioni per i 15 imputati nel processo sulla tragedia sulla A16 avvenuta nel 2013. Questa la sentenza letta dal giudice monocratico del tribunale di Avellino, Luigi Buono, tra le urla dei familiari delle vittime. Tra gli assolti l'ad di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci e l'ex condirettore generale della società Riccardo Mollo. La condanna più severa, 12 anni così come richiesto dall'accusa, è quella per Gennaro Lametta, proprietario del bus: per lui 12 anni di reclusione. Assolti anche Vittorio Saulino, dipendente della motorizzazione civile di Napoli; Michele Maietta, dirigente tronco Autostrade, Massimo Fornaci, Marco Perna e Antonio Sorrentino, dirigenti o ex dirigenti della società.
Oltre Lametta sono stati condannati in primo grado (con pene sensibilmente più lievi rispetto alle richieste dell'accusa) Antonietta Ceriola, dipendente della Motorizzazione di Napoli, otto anni; Paolo Berti, all'epoca direttore del tronco di Autostrade su cui avvenne l'incidente, cinque anni e sei mesi.
Condanne anche per altri tra dirigenti e tecnici di Autostrade: Michele Renzi, cinque anni; Nicola Spadavecchia, sei anni; Bruno Gelardi, cinque anni; Gianluca De Franceschi, sei anni; Gianni Marrone, cinque anni e sei mesi. Alla lettura della sentenza scoppiata la rabbia dei familiari: "Vergogna, questa non è giustizia". In una manciata di secondi, poco dopo le otto di sera di una domenica d'estate, si consumò il più grave incidente stradale della storia italiana, con un bus carico di pellegrini che precipitò da un viadotto causando 40 vittime.
Tornavano a casa da una gita di alcuni giorni a Telese Terme e nei luoghi di Padre Pio, a Pietrelcina. Erano partiti da Pozzuoli con il bus della stessa agenzia alla quale si erano già rivolti per organizzare spiccioli di vacanza in comune e a buon prezzo, 150 euro a persona tutto compreso, e con la quale avevano già programmato un nuovo viaggio al santuario mariano di Medjugorje.
La sera del 28 luglio del 2013, sulla strada di casa, lungo la discesa dell'A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino (Avellino) il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell'agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell'impianto frenante. Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, il bus nel tentativo di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto "Acqualonga" che cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un'altezza di 40 metri. Sul colpo morirono 38 persone, l'elenco delle vittime sarebbe salito a 40 con la morte, una settimana dopo nel reparto di rianimazione dell'ospedale Loreto Mare di Napoli di Simona Del Giudice, 16 anni, la vittima più giovane che nell'incidente aveva perso il padre e una sorella, e di Salvatore Di Bonito, 54 anni operaio di Monterusciello, che nell'incidente aveva perso la moglie Anna Mirelli di 48 anni, spentosi il 7 settembre nell'ospedale "Santa Maria delle Grazie" di Pozzuoli.
I soccorsi furono tempestivi e imponenti. Alla luce delle fotoelettriche, decine di soccorritori, tanti volontari per ore fino all'alba lavorarono fianco a fianco con i Vigili del Fuoco e le forze dell'ordine a farsi largo tra le lamiere contorte alla ricerca di sopravvissuti. Si salvarono soltanto dieci passeggeri. Tra questi tre bambini, sopravvissuti grazie all'abbraccio di nonni e genitori che li strinsero a sé mentre il bus precipitava, che nei successivi cinque anni e mezzo avrebbero dovuto affrontare insieme alla tragedia di famiglie smembrate, il calvario di una lunga riabilitazione negli ospedali di mezza Italia. Dalle loro testimonianze al processo di primo grado il racconto di cosa accadde all'interno dell'autobus prima che precipitasse nel vuoto. Alcuni riuscirono ad avvicinarsi all'autista chiedendogli di aprire le porte per consentire ai passeggeri di provare a mettersi in salvo lanciandosi fuori; altri che pregavano, altri ancora che all'autista chiedevano di fermare la corsa del bus rimasto senza freni contro le auto incolonnate che procedevano a velocità ridotta a causa del restringimento della corsia per lavori in corso.
Ancor prima, a pochi chilometri dal viadotto, in un tratto in salita, proprio Antonio Caiazzo, il marito di Clorinda Iaccarino, che si intendeva di meccanica, aveva chiesto all'autista di fermare l'automezzo, che nel procedere dava segnali poco rassicuranti. Ciro Lametta, che avrebbe poi cercato inutilmente di governare l'autobus, rispose di non preoccuparsi che "nel giro di un'ora, saremo a casa".
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